Wednesday, September 24, 2008

Fade to black?

Anche dopo un album brutto come ReLoad (1997) e uno bruttissimo come St. Anger (2003), l'attesa per un nuovo disco dei Metallica provoca ancora una certa trepidazione, almeno in chi, come me, ha avuto per il gruppo di San Francisco una vera e propria adorazione.

Primi anni del liceo (il severo Einstein di Milano), nel mezzo dei tanto bistrattati ma in fondo gloriosi anni Ottanta; è stato quello il periodo d'oro per James, Lars e soci; e c'era ancora Cliff.
Ricordo come se fosse ieri la prima volta che ho ascoltato Master Of Puppets (1986); un walkman di un coetaneo di nome Alessandro che, come me, rientrava a casa su uno sgangherato pulmann della SGEA. Ricordo lo sconcerto iniziale: "Ma è musica questa? Come si fa ad ascoltare questa roba? È rumore allo stato puro!". Abituato alle melodie convenzionali degli Iron Maiden devo aver pensato qualcosa del genere. Ma ero io a non essere pronto. Le cose hanno preso una piega diversa al secondo ascolto, a casa mia, quello stesso pomeriggio. Ho fatto in fretta: da quel momento in avanti dentro di me ha cominciato a prendere forma la consapevolezza di trovarmi al cospetto di uno di quei gruppi che nascono soltanto una volta ogni 15-20 anni.
I Metallica sono stati per me quello che i Led Zeppelin hanno rappresentato per un giovane degli anni Settanta.

Il 12 Settembre 2008 è uscito in contemporanea mondiale Death Magnetic. Quello che racconterò in questa sede è il frutto delle mie prime impressioni, derivate da un solo ascolto (escluso il singolo The Day That Never Comes, passato a ripetizione su tutte le TV e le radio da alcuni giorni a questa parte). Più avanti mi riprometto di tornare sull'argomento per scrivere un commento a freddo e più misurato.

Innanzitutto... ci sono buone notizie? Sì, ci sono. Death Magnetic è senza dubbio un allontanamento, voluto e sentito (forse anche indotto), dalla pochezza artistica toccata con St. Anger. Brutto titolo e copertina grossolana, ma almeno questa volta i Metallica sono tornati a suonare la musica che tutti conosciamo. Le buone notizie, però, finiscono qui.

Del nuovo disco colpiscono soprattutto tre cose:

(1) le linee sonore di fondo e gli schemi musicali proposti non hanno assolutamente nulla di innovativo (non che ciò sia necessariamente un male); qui non c'è nessuna progressione, nessuna evoluzione, nessun tentativo di sperimentazione (sono lontani i tempi del controverso Load): ogni pezzo ha un'impronta ben nota, immediatamente riconoscibile a ogni estimatore del gruppo; ci sono forti echi del periodo ...And Justice For All (1988), soluzioni mutuate dal Black Album (1991) e qualche incursione nella produzione precedente (Master Of Puppets, Kill 'Em All).

(2) la maggior parte dei brani ha una struttura particolarmente lunga, molto articolata e spesso fastidiosamente complessa (in questo ci sono molte somiglianze proprio con l'epoca di ...And Justice For All).

(3) i nuovi brani, purtroppo, quasi mai riescono a brillare di luce propria: per contro si ha invece la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad avanzi del passato. Come un leone troppo stanco, troppo vecchio e malandato che non può più graffiare, anche se ci prova ancora, per istinto o disperazione; non fa più paura, non ci spaventa; per lui, anzi, si prova fin quasi compassione.

Delusione? In fondo no, perché - siamo onesti - nessuno in realtà avrebbe potuto aspettarsi un ritorno ai fasti di un passato davvero immenso. Una donna che ha passato i quaranta e si avvicina ai cinquanta può avere un grande fascino, modellato e affinato dalla saggezza del tempo, ma scadrebbe nel ridicolo se cercasse di scimmiottare una venticinquenne dei tempi moderni; e lo stesso dicasi per un atleta in pensione che cercasse di competere con chi è più giovane di quattro o cinque lustri; mancano le doti fisiche e manca la lucidità. I giocatori del passato, non a caso, sono spesso i dirigenti sportivi del presente: nessun calciatore scenderebbe in campo a 45 anni, pena una prevedibile figuraccia. L'errore dei Metallica, in sintesi, è stato proprio questo: volersi confrontare con quello che loro stessi erano venti o venticinque anni prima. Comprensibilmente non c'è più l'ispirazione di una volta, che è sempre stata a carico di Lars e soprattutto di James, e mancano anche le stesse forze per poter suonare certi pezzi (un brano come My Apocalypse, che rimnada dritto dritto a Damage Inc., proposto nel 2008 suona del tutto ridicolo).

Da un punto di vista strettamente musicale si sentono le incrinature della voce di Hetfield e lasciano amarezza certi passaggi solistici di Hammett; Ulrich fa il suo onesto dovere, mentre Trujillo è relegato in un anonimo sottofondo.

Il mio desiderio, per quel che conta, è quello di vedere i Metallica comporre, prima o poi, il vero successore di Load (1996). Abbandonare il metal dei vigori giovanili (già consegnato ai capolavori della storia della musica) e passare alla maturità di un rock, energico quanto si vuole, ma intriso di elettricità blues. Io Hetfield, il grande Hetfield, me lo immagino così.