Sunday, October 03, 2010

Moon, where are we now?

Ho visto e consiglio di vedere Moon (2009, UK) di Duncan Jones. Un film di fantascienza che segna l'esordio alla regia del figlio di David Bowie.

Diciamo subito che si tratta di un lavoro più che buono, nonostante sia stato realizzato con mezzi e budget molto limitati: di fatto Sam Rockwell è l'unico vero attore a cui è affidata l'interpretazione di due personaggi, due cloni di un originale che non compare mai; le restanti quattro apparizioni (umane) sono solo fugaci comparse, mentre l'altro ruolo di rilievo è quello del robot Gerty, interpretato dalla voce superlativa di Kevin Spacey (doppiato in Toscano da Roberto Pedicini).

Da un punto di vista cinematografico, per stessa ammissione di Jones, il film è un omaggio a lavori come 2002: la seconda odissea (1972), Alien (1979) e Atmosfera zero (1981), ma sono piuttosto evidenti anche certi richiami a Kubrick.

La trama è semplice ma sufficientemente originale. La presenza di un clone, che nella prima parte sembra solo una proiezione mentale o un'allucinazione del protagonista, sembra indirizzare il film verso una dimensione filosofica caratterizzata dalla tipica complessità di più livelli di realtà che si intrecciano, sovrappongono, confondono; ma si tratta di una fuga speculativa solo abbozzata, perché la contingenza degli eventi (i due cloni sono davvero presenti in contemporanea) porta questo lavoro verso lidi assai diversi. Da un lato la cooperazione tra i cloni e la loro umanità che si costruisce e cresce nel tempo, dall'altro, il cinismo bieco dei dirigenti della compagnia per la quale i cloni lavorano, figure senza scrupolo dedite all'inganno e allo sfruttamento dei propri simili.

Il messaggio che se ne coglie è tanto semplice quanto profondo e disarmante: nonostante il progresso, l'accumulo del sapere e la tecnologia, l'uomo continua a esser il peggior nemico di sé stesso; anche sulla faccia nascosta della Luna, anche in un futuro più o meno lontano la famosa massima plautiana homo homini lupus non ha speranze di essere smentita. L'altro tema proposto è quello della manipolazione delle masse da parte di esigue minoranze; manipolazione, che nello scenario proposto qui, porta a rinchiudere gli uomini in prigioni invisibili all'interno dello loro menti, falsificando persino i loro ricordi passati.

Va sottolineata la bontà della regia e, ancor più, la doppia recitazione di Sam Rockwell. La sceneggiatura è volutamente scarna, lenta, essenziale, e, sostenuta da una colonna sonora minimalista (Clint Darryl Mansell), materializza l'inquietudine di fondo che Duncan Jones ha voluto comunicare.

Un film che fa riflettere, e molto. Non a caso un lavoro europeo, indirizzato soprattutto a un pubblico europeo.