Saturday, May 22, 2010

Danimarca. Appunti di viaggio (17/20). Il Tivoli e Nyhavn

Nell'Aprile di due anni fa la Indrė aveva lamentato il fatto che non l'avessi portata al Tivoli, e questa volta, più agguerrita che mai, era intenzionata ad andarci a tutti i costi.
Percorso tutto lo Strøget da Kongens Nytorv (a est) sino alla piazza del municipio (a ovest), ci siamo avvicinati al rettangolo del Tivoli dal lato affacciato su HC Andersens Boulevard e da lì vi abbiamo fatto un giro intorno in senso orario, camminando dunque lungo Tietgensgade, Bernstorffsgade e Vesterbrogade, per poi tornare quasi al punto di partenza. Questa esplorazione dalla distanza ha fatto capire alla Indrė che il tanto pubblicizzato parco divertimenti di Copenhagen non era poi così speciale come aveva immaginato; i costi elevati esposti sui cartelli di una delle entrate hanno poi fatto il resto.
In effetti il Tivoli non è certo una delle cose imperdibili di una città che, fortunatamente, offre ben altro. La frase dell'amatissimo Lars Ulrich (per i pochi che non lo conoscessero, il batterista dei Metallica) "Ogni volta che posso torno al Tivoli: mi fa tornare bambino" è uno degli ami che le pubblicità delle riviste distribuite in aereo utilizzano per catturare quanti più visitatori possibile. Ma all'amo, si sa, è meglio non abboccare. Soprattutto non è il caso di perseverare: a dirla tutta, infatti, io il Tivoli l'avevo visitato (ammesso che abbia senso usare questo verbo) nel Settembre 1998; e ovviamente ne ero rimasto deluso, anzi mi ero rammaricato per aver buttato soldi in una cosa del genere.

In un clima di svago e rilassatezza, come tipico di una vacanza, quel tardo pomeriggio c'è stato però un episodio che ci ha fatto riflettere a lungo e che abbiamo trovato particolarmente disturbante.
Vicino all'ingresso principale del Tivoli abbiamo notato quello che, apparentemente, sembrava un negozio di peluche come tanti altri. Spinti dalla curiosità, siamo entrati per dare un'occhiata. Il negozio era affollato di bambini e genitori, ma i pupazzetti di stoffa presenti all'interno erano pochissimi, si faticava quasi a trovarli.
Il cervello funziona in modo strano: in alcune circostanze, quando ti fissi su qualcosa, è capace di "cancellare" tutto quello che vi sta intorno.
Passati gli iniziali secondi di comprensibile smarrimento, abbiamo capito - con un senso di gelo alle vene - quel che davvero si vendeva là dentro: non orsacchiotti, gattini e cagnolini di peluche, ma i loro abitini e accessori!
Siamo sicuri che tutto questo sia ancora compatibile con i concetti di "civiltà" e di "benessere"?

Per stemperare l'inquietudine abbiamo ripercorso lo Strøget in senso opposto, concedendoci poi una cena all'aperto nell'atmosfera sempre speciale di Nyhavn, una zona (la mia preferita) per certi versi simile ai Navigli di Milano, o meglio, a come i Navigli erano 20 o 25 anni fa, prima che il degrado e gli aspetti peggiori di una colonizzazione multietnica troppo rapida e invasiva trasformassero quei luoghi in qualcosa sempre più da evitare e che ci si vergogna di mostrare agli amici stranieri in visita in città.
Nyhavn, invece, mantiene ancora tutto il suo fascino, specialmente in un periodo come quello della nostra visita: il ritardo della primavera e le basse temperature hanno infatti limitato a un livello ottimale l'affollamento dei turisti (specie quelli cafoni provenienti dall'Italia).

Probabilmente per un po' di anni Copenhagen resterà al di fuori delle nostre mete di viaggio, ma sappiamo che ci manca, e prima o poi ritorneremo.