Il primo passo per risolvere un problema è ammettere che questo esiste. Se ad esempio soffri di impotenza, la prima cosa da fare, spesso la più difficile, è proprio quella di andare dal medico e parlagliene; il resto, cioè la cura, è di solito un percorso in discesa.
Nei giorni scorsi il ministro dell'istruzione Gelmini ha fatto notare come tra nord e sud (cioè tra Padania, da un lato, e Italia, Sicilia, Sardegna, dall'altro) esista un divario da colmare. Come è facile immaginare, quelle dichiarazioni hanno immediatamente scatenato le solite prevedibili polemiche incentrate sul razzismo.
È evidente che siamo di fronte a un rifiuto totale da parte dell'Italia di prendere atto dei propri malanni ormai cronicizzati. Si invoca il razzismo e si persevera nell'ignorare il problema.
Cosa, a dir la verità, che stupisce ben poco: d'altra parte questo è sempre stato il tipico atteggiamento italiano e italiota, dovremmo averlo capito da tempo. Quello che fa inorridire è invece il comportamento coniglio dei politici e dei ministri dell'attuale maggioranza, che hanno sentito l'impellente bisogno di divulgare una processione di interviste riparatorie (perdendo un'altra buona occasione per tacere almeno d'estate).
Esiste o no un divario tra Padania e Italia? È vero o non è vero che affidabilissimi rapporti internazionali come il PISA (di cui ho parlato anche sul blog) hanno certificato queste differenze di cui ha parlato il ministro? È vero o no che laurearsi e sostenere concorsi pubblici in Italia e Sicilia è molto più semplice che qui da noi?
I nostri politici sono ormai ostaggio di questa cultura italiota che si chiude a riccio e sbandiera inesistenti accuse di razzismo ogni volta che qualcuno punta il dito a indicare i reali problemi del Paese.
Di questo passo, prima o poi, sarà proibito affermare che Napoli si trova a una latitudine inferiore rispetto a quella di Milano, o che d'inverno il clima calabrese è più mite di quello veneto.
Guardando a certi fenomeni con occhi un po' più scientifici quel che è in atto è evidentissimo: la cultura più forte si sta mangiando la cultura più debole.
La cultura più debole siamo noi.