Saturday, December 18, 2010

Låt den rätte komma in (Lasciami entrare). La storia di Oskar ed Eli

Lasciami entrare (titolo originale Låt den rätte komma in) è un film del 2008 diretto dal regista svedese Tomas Alfredson. Il lavoro, bellissimo, è un originale riadattamento dell'omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist (qui presente in veste di autore della sceneggiatura).

Lo Svedese, si sa, almeno nella sua forma scritta è una lingua piuttosto semplice. Dunque, se state pensando che "låt den rätte komma in" non coincida esattamente con la traduzione "lasciami entrare" siete nel giusto. È noto che un piccolo trucco per comprendere le lingue scandinave è quello di cercarne le assonanze e le similitudini con l'Inglese. E si dà il caso che "låt den rätte komma in" suoni quasi identico a "let the right one (come) in". Quando avrete visto il film, concorderete con me che le sfumature insite nel titolo originale vengono completamente perse nella frettolosa traduzione in Toscano.

Cattive traduzioni a parte, un bel modo di avvicinarsi a quest'opera è quello di evitare di leggerne la trama e lasciar cadere etichette di genere quali horror, soft horror, vampirismo. Gli elementi horror, pochissimi, sono distanti anni luce dalle produzioni statunitensi a cui probabilmente siete abituati, e la figura del vampiro, pur centrale, è qui trattata con estrema originalità, ma soprattutto come metafora di diversità e disagio.

Questo film racconta, prima di tutto, la difficile condizione di due dodicenni che, in modi diversi, si ritrovano ai margini della grande periferia svedese di inizio anni '80. Oskar ed Eli (interpretati magistralmente da Kåre Hedebrant e Lina Leandersson) si muovono lungo il perimetro di un mondo degradato, sottoprodotto di una società adulta fatta di squallore e normalità malata. È il mondo visto dal loro punto di vista, con tutto il resto a fare da sfondo.

Oskar che accetta Eli senza paure e che la abbraccia mentre è ancora sporca di sangue, perché le vuole bene e si fida di lei. Il messaggio, in fondo, è "tutto" qui.

Alfredson impressiona per l'uso dei contrasti e per la capacità di dar voce alle pause e ai silenzi. Il film, che all'inizio può apparire lento e quasi incomprensibile, progressivamente si carica di un contenuto simbolico dalla ricchezza inimmaginabile. Più che fornire risposte, tuttavia, questo è una lavoro che pone interrogativi, lasciando gli spettatori nell'inquietudine tratteggiata dalle loro stesse supposizioni.

Un lavoro superlativo, che merita di essere rivisto.

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