Saturday, September 18, 2010

Matematica: la nuova Età dell'Oro (2/2)

Tre ulteriori considerazioni a proposito di Dove va la matematica di Keith Devlin.

In primo luogo, un testo serio di matematica moderna non può fare a meno di occuparsi di Gödel. State tranquilli, Devlin affronta l'argomento nel secondo capitolo, anche se per approfondimenti dovete rivolgervi a lavori specifici (e per fortuna ce ne sono in giro a sufficienza).

Secondariamente, il capitolo ottavo sull'ultimo teorema di Fermat, per ovvie ragioni storiche, non può tener conto degli sviluppi di Andrew Wiles che ha fornito la dimostrazione nel 1994 (il testo di Devlin risale al 1988). Tuttavia il capitolo risulta ugualmente interessante per inquadrare il problema da un punto di vista storico.

Infine, ai visitatori di questo blog che non abbiamo avuto modo di leggere i miei precedenti post sull'argomento, vorrei proporre la seguente osservazione: è possibile che, di fronte all'astrattezza o alle bizzarrie di certa matematica moderna, si sia portati a chiedersi se tutto ciò è davvero utile. La risposta è molto semplice: in matematica il criterio di utilità è del tutto fuori luogo. Gli eventi hanno dimostrato con chiarezza che quello che, oggi, in un certo campo, è considerato inutile potrà essere di grande utilità domani in un altro campo, anche al di fuori della matematica stessa (si pensi per esempio alla ricaduta della topologia sulla fisica teorica moderna). Va poi detto che i tentativi di risolvere problemi complessi o di dimostrare le congetture ancora aperte hanno permesso di sviluppare, da un lato, un grande arsenale di tecniche nuove, e, dall'altro, di creare ponti e collegamenti tra branche della matematica che sino a poco prima erano considerate distanti e slegate.

A proposito di criteri di utilità, negli anni Ottanta del secolo scorso lo stesso Devlin è stata una delle vittime di questa scure selettiva. Grazie al rigore della Thachter, il matematico inglese si è ritrovato improvvisamente senza lavoro con la motivazione che le sue ricerche non si rivolgevano a questioni utili. Come ha ben scritto Gabriele Lolli "a differenza dei minatori, l'emigrazione negli Stati Uniti è stata per lui, e forse per noi, una fortuna".