Per tutta la giornata di ieri, e nei giorni precedenti, il CERN di Ginevra è stato oggetto dell'attenzione di quasi tutta la stampa mondiale.
Ormai lo sanno praticamente tutti: si è parlato con grande entusiasmo e toni trionfalistici degli esperimenti che dovrebbero portare presto a una migliore comprensione dell'origine dell'universo (ammesso di ritenere vera l'ipotesi, per ora maggioritaria, che attribuisce appunto un'origine al nostro universo).
Come è tipico di questi casi l'informazione di quotidiani e TV ha brillato per i suoi tratti peculiari: scarsa competenza e abbondanza di pressapochismo.
Ma tralasciando queste considerazioni ci si potrebbe chiedere se abbia davvero senso l'aver messo in piedi una macchina di tale complessità e costi elevatissimi (l'LHC) con la sola finalità di togliere ai fisici contemporanei qualche curiosità circa un fatto molto teorico ma poco pratico come capire quel che è successo nei primissimi istanti successivi al Big Bang.
Viene subito da dire che quel denaro e quelle menti si sarebbero potute impiegare per progetti di urgenza e sostanza ben maggiori. Ed è difficile dar torto a chi la pensa così.
Va però anche sottolineato che difficilmente le due cose sono collegabili e, per quanto cinico possa apparire, è improbaile che gli otto miliardi di euro del progetto LHC avrebbero potuto concretizzarsi per qualcosa di diverso. È la logica che porta a investire laddove ci siano possibilità di avere ritorni economici.
A consolazione di ciò possiamo osservare come quel che sta accadendo a Ginevra oggi avrà in un futuro non troppo lontano forti ricadute tecnologiche negli ambiti più disparati, con evidente vantaggio per la collettività, o almeno, per una parte di essa.
È un discorso simile a quello delle gare automobilistiche: potrebbero sembrare inutili ma sono ciò che permette di sperimentare soluzioni che prima o poi ritroviamo nell'industria automobilistica civile.