Friday, September 18, 2009

I vigliacchi di Kabul

Mentre questa mattina venivo in ufficio, ho ascoltato su Radio Capital la lettura - da parte del conduttore di turno - di alcuni SMS inviati dagli ascoltatori sul tema dell'attentato di ieri a Kabul. Non lo si dice apertamente ma è evidente che per alcuni il desiderio di ritirare le truppe italiane non sia affatto animato da motivazioni volte a proteggere le vite di quei giovani soldati, quanto piuttosto da una profonda (e io dico "malsana") attrazione verso gli attentatori talebani.
Essere critici nei confronti di certe operazioni militari, subdolamente chiamate "missioni di pace", è più che lecito (e si può benissimo essere contrari), ma da qui a fare il tifo per degli assassini vigliacchi ce ne corre. A meno che, naturalmente, non si pensi davvero che quelli che noi definiamo terroristi siano in realtà degli eroi.

C'è in questo Paese una parte della sinistra (definitela radicale, estremista, massimalista, no-global, antagonista o quel che volete) che non perde occasione di mostrare una delle caratteristiche più tipiche del comunismo italiano: quella di stare sistematicamente dalla parte sbagliata (e ormai, a sostegno di questa mia posizione, c'è quasi un secolo di evidenze storiche).
Se parlate con loro, vi diranno che tutto è relativo, e che la pretesa di definire in modo assoluto ciò che rappresenta il "bene" e ciò che rappresenta il "male" è assurda. Bene, possiamo anche essere d'accordo, ma se tutto è relativo la logica suggerirebbe di mantenere posizioni di cauta equidistanza, e allora perché schierarsi da una parte, che è poi l'altra parte?

Non si equivochi sul titolo di questo post: i soldati fanno il loro lavoro e sono consapevoli dei loro rischi, i talebani - a modo loro - fanno il loro "lavoro" di terroristi; i vigliacchi di cui parlo io sono quei comunisti descritti sopra, persino peggiori di quelli che, nella loro follia, hanno avuto il coraggio di scrivere sui muri l'odioso slogan "dieci, cento, mille Nasiriya" (ma, da buoni ignoranti, e in ciò in compagnia di quasi tutta l'italica stampa, scrivendo Nassiriya con due esse).