Al congresso per la nascita del PDL Gianfranco Fini ha detto in termini coraggiosi quel che pensa del testamento biologico, o meglio della legge (ancora in discussione alle camere) che dovrebbe regolarlo. Giustamente si è chiesto se imporre certe decisioni dall'alto non sia più da Stato etico che da Stato laico.
L'aggettivo coraggioso tiene naturalmente conto di quello che è stato il passato politico di un uomo come Fini, con idee che, a mio avviso, si sono rivelate spesso dubbie e confuse (qualcuno è davvero in grado di sintetizzare il programma del suo ormai disciolto partito?) oppure anacronistiche (l'insistere sul concetto di unità d'Italia o di patria, che non c'è mai stata e non potrà mai esserci), certamente non laiche (con continui riferimenti alla religione cristiana) o addirittura pericolose (certe dichiarazioni discriminatorie sui mestri omosessuali).
Rispetto il percorso umano di Fini ma mi vengono spontanee un paio di considerazioni: innanzitutto sarebbe stato meglio che certe dichiarazioni venissero esplicitate prima, tirarle fuori in sede congressuale mi è invece parsa una conferma di quanto sia minoritaria e debole questa posizione all'interno del PDL; in secondo luogo mi domando se avere certe idee quando si ha un intero partito che la pensa diversamente sia compatibile con la posizione di leadership di quello stesso partito.
Forse Fini farebbe meglio a lasciare e a proseguire il suo comunque ammirevole percorso umano. Si metta anche il cuore in pace, non passerà mai alla storia: quelle che, prima con Fiuggi e poi con la confluenza di AN nel PDL, sono state frettolosamente etichettate come svolte sono invece cose di poco conto; non sono altro che un tentativo tardivo di rimettersi al passo con la storia, quella stessa storia che certe idee le aveva decretate morte per tempo.
Nel bene e nel male, e comunque la si pensi, leader lo sono Berlusconi e Bossi; Fini è sempre stato un follower.