Tuesday, February 05, 2008

Void

Complice una giornata di malattia, ieri mi sono preso un po' di tempo per guardare un DVD, un film prestatomi da un collega di lavoro qualche giorno prima: "Volevo Solo Dormirle Addosso" di Eugenio Cappuccio, anno 2004, tratto dal romanzo omonimo di Massimo Lolli.

Trama esplorata di rado e molto attuale: Marco Pressi (Giorgio Pasotti) è un giovane manager che lavora sodo. Fa il formatore nella compagnia italiana di una multinazionale francese. Stimato e benvoluto da tutti, un giorno si sente fare dai vertici della società una di quelle proposte che non si possono rifiutare se si vuole fare strada e arrampicare: dovrà tagliare un terzo del personale nel giro di alcune settimane. Se centrerà il target verrà promosso con sostanziosi aumenti e benefit; se fallirà la sua carriera sarà finita.

Non ho letto il libro e, come tutti, conosco e condivido la regola secondo la quale le riduzioni cinematografiche di un testo sono sempre inferiori agli originali.

Nel complesso il film mi è piaciuto poco, soprattutto dalla metà in avanti, quando cioè cominciano a emergere in modo piuttosto evidente la scarsa caratterizzazione dei personaggi, trame e dinamiche che faticano ad amalgamarsi e una recitazione a tratti zoppicante e stentata. Inqualificabile soprattutto il finale, banale e del tutto prevedibile.

Eppure i primi 30/35 minuti del film, forse inconsapevolmente, sono una specie di piccolo capolavoro. Sono queste le sequenze che meritano di essere visionate, quelle di pura rappresentazione degli ambienti.

La descrizione dell'ambiente lavorativo, in termini di spazio fisico, psicologico e linguistico, e il quadro dell'ambiente sociale del protagonista lasciano addosso un'angoscia profonda.
È l'angoscia di un certo tipo di lavoro contemporaneo che contamina e assorbe l'individualità, distrugge le libertà di scelta, inaridisce e disumanizza. Ed è l'angoscia di una vita extra-lavorativa inconsistente, degradata, priva di intressi, amicizie, affetti, il tutto sostituito da rapporti di sesso meccanici, al tempo stesso stanchi e quasi violenti.

Quello che si prova è agghiacciante, non tanto e non solo per quello che si vede, ma soprattutto per quello in cui ci si riconosce o si riconosce intorno a sé.
E in questo senso, vedere quelle scene fa bene, nonostante la nausea, nonostante l'orrore per il vuoto che ti rivolta lo stomaco e si agita dentro.