Il buon gusto di tacere è quello che manca al maestrino Dario Franceschini, che dopo la nuova batosta elettorale dei ballottaggi (perdita di Milano e Venezia) ha avuto il coraggio di parlare di "inizio del declino della destra"; naturalmente senza fare la minima autocritica verso i deludentissimi risultati del suo partito. D'altra parte la contabilità elettorale è materia assai semplice, per esempio vediamola assieme nel caso delle province.
Prima del voto:
totale province 59
centrodestra 9 (15,3%)
centrodestra 50 (84,7%)
Dopo il voto:
totale province 62
centrodestra 34 (54,8%)
centrodestra 28 (45,2%)
Le tre province in più sono tre nuove province non ancora istituite in occasione delle precedenti elezioni. Va anche notato che nell'ambito di queste variazioni i passaggi di colore sono tutti unidirezionali: in pratica nessuna provincia è passata dal centrodestra al centrosinistra, ma solo il viceversa.
Se diamo alla cosa un'interpretazione di tipo aziendale, è come se Franceschini fosse l'amministratore delegato di una società che, in un determinato mercato simile a un duopolio, fosse passata da una quota di mercato del 84,7% a una del 45,2%. In un contesto logico, normale e appunto di buon senso, di fronte a un insuccesso tanto chiaro, un AD degno di questo nome avrebbe rassegnato le proprie irrevocabili dimissioni. Invece Franceschini guarda in casa degli altri.
Bravo Dario, complimenti! C'è davvero da sperare che uno così venga riconfermato alla segreteria del PD.