(apparso in origine su www.ilgiornale.it il 23/05/2009 con il titolo "Fini: «Deciderà il Parlamento». Ma fu lui a parlare di «tacchini»")
La Costituzione? «È una giovane signora di 60 anni, che non risente del tempo che è passato». Parola di Gianfranco Fini, che per una mattinata presiede a Palazzo Madama, dinanzi a un'Aula zeppa di studenti da premiare (assente giustificato Renato Schifani, a Palermo per la commemorazione della strage di Capaci, ma non sostituito da suoi vice o componenti dell'Ufficio di Presidenza), e torna a dire la sua su Carta, riforme e Parlamento. Pronto così a rilanciare l'auspicio di vecchia data: «Dobbiamo essere capaci di agire in queste Aule nel nome dell'interesse generale, di ciò che può unire più di ciò che può dividere». E pur rappresentando «la grammatica per una lingua» o «la pietra angolare della vita civile e quotidiana», la Carta «non è intangibile».
Già. E sono maturi i tempi - ragiona da tempo la terza carica dello Stato - per avviare una legislatura costituente, che si ponga come obiettivo pure la riduzione dei parlamentari. Un punto su cui si registra piena condivisione con il premier. Discorso a parte invece merita lo strumento ipotizzato da Silvio Berlusconi. Per l'inquilino di Montecitorio, infatti, «è una questione che non si pone». Il motivo è semplice: «Una proposta di legge di iniziativa popolare non sostituisce il Parlamento» - ricorda ai cronisti - «è una delle modalità previste dai Costituenti per l'avvio dell'iter legislativo. Chi può dare il via a una legge? I cittadini, i parlamentari o il governo. Ma è sempre il Parlamento che decide». Quindi, la centralità decisionale e il pallino rimangono nelle sue mani. Ma tant'è. Al di là del gioco dei ruoli, Fini, che «non poteva non rispondere» a caldo alle parole del premier sull'inutilità dell'assemblea di Montecitorio - si fa notare in Transatlantico - è sulla stessa lunghezza d'onda, se si intende discutere di misure e numeri per superare la pletoricità.
Intanto, nella nota della Camera, diffusa giovedì dopo lintervento di Berlusconi all'assemblea di Confindustria, non c'era traccia o spunto polemico sulla battuta con cui aveva giustificato l'iniziativa popolare: «Non si è mai visto un tacchino o un cappone che chieda di anticipare il Natale». D'altronde, l'aforisma di Winston Churchill piace molto pure a Fini. Che l'ha ritirato fuori, l'ultima volta in ordine cronologico, lunedì scorso a Monopoli, scherzando con alcuni studenti: «Ridurre il numero dei parlamentari è auspicabile ma, citando un detto famoso, dirlo oggi a loro è come dire a un tacchino che si sta anticipando il Natale». In quel caso, nulla da dire, da parte dell'opposizione. Che invece, per voce del capogruppo PD al Senato, Anna Finocchiaro, bolla come scandalose anche le dichiarazioni del capo del governo «sulla faccenda del tacchino e del cappone». Ma questa, forse, è un'altra storia. O è solo colpa dell'incolpevole cappone, messo in mezzo dal Cavaliere, per buona pace di Churchill.