(pubblicato in origine su andrearusso1979.blogspot.com il 31/12/2007)
È una fissazione che mi è entrata subdolamente. Guardando le immagini in televisione, seguendo la mia vena di espolratore di ciò che non è sulla cresta dell'onda, ma che va scoperto, individualmente, con la gelosia di chi non lo vuole condividere troppo con gli altri.
Lituania come territorio personale, introspettivo. Lituania come intuizione poi riscontrata come pienamente veritiera.
Attratto da paesaggi strani, da fisionomie diverse, da donne bellissime, da uno spirito nordico ed est-europeo insieme, mi sono spinto fin lì.
Da solo. In un silenzio irreale.
La cosa strana è che mi sono trovato perfettamente a mio agio, come se conoscessi quei posti da sempre, ma senza che l'entusiasmo di vedere un mondo nuovo venisse minimamente intaccato.
Il silenzio come esperienza introspettiva. Il silenzio nelle strade, nel contegno della gente.
I Lituani si girano indispettiti se parli ad alta voce. Parlano piano, ma non sono nè poco socievoli, nè presuntuosi.
Non vi capiterà mai per strada di sentire: "Italiani mafiosi", come a me personalmente è successo in Irlanda; l'Italia è vista con grande stima e ammirazione, da quelle parti; non poche persone studiano l'Italiano, moltissimi sono quelli che sono stati almeno una volta in Italia.
Il mio feeling con questa terra non poteva non nascere.
Sono rimasto positivamente sorpreso da tante altre cose: I locali notturni di Vilnius sono in gran parte molto belli, con uno stile artistico tangibile, e battono 5-0 tanti locali rinomati italiani.
In questi locali ho fatto facilmente amicizia con molte persone del posto. I ragazzi ti invitano a ballare con tutto il gruppo, le ragazze sono dolci e gentili. E sono più belle le ragazzine di 20 anni che ballano sulla pista di quelle che sono sul cubo.
Al ristorante si mangia molto bene e si paga poco.
Stare lì, per gran parte da solo, non mi è pesato affatto. Anzi, il tempo passato da solo, e quello trascorso con un ragazzo di Roma conosciuto all'aeroporto e con la gente del posto è stato la giusta miscela per il mio modo di modo di intendere i viaggi.
Nell'epoca in cui c'è per molti il mito di Londra (giustificato non so bene da cosa), preferisco dieci volte posti come questo: una nazione piccola, di provincia, non intasata, fatta di gente silenziosa, ma socievole, e soprattutto senza la presunzione che molte persone hanno altrove.
Tornando a casa, all'aeroporto di Roma, ho riscontrato quanto siamo rumorosi noi Italiani, a sproposito: prima ho dovuto superare lo svanire dell'incanto di vedere visi di donna bellissimi, nel momento in cui mi sono dovuto allontanare dal gruppo del mio aereo dove c'erano i Lituani;
Prese le valigie, mi sono imbattuto in una tutor che richiamava i bambini della sua colonia estiva: "Marcooo, dov'è Marco, è indietrooo, ah è qui" e così via per ogni ragazzino, senza tener conto che i ragazzini erano costretti a passare per un varco obbligato; ragion per cui non c'era motivo di urlare così. Un uomo sui 50 anni, solo per farsi spazio, ha iniziato a urlare con violenza: "Permesso! Permesso!".
Visto che funzionava, dopo le prime volte ci ha preso gusto e ha iniziato a ripeterlo sempre, soddisfatto forse dalla sensazione di intimorire qualcuno.
Il silenzio, dunque, è un esercizio di estetica del vivere che in Italia non abbiamo ancora compreso, e non ce ne rendiamo nemmeno conto. E capita così che il pregiudizio di provenire da un posto meno arretrato rispetto a un altro subisce una dura battuta d'arresto.