Thursday, March 27, 2008

Berkeley e gli scemi del villaggio globale

Stefano Montanari (vedi post precedente) mi ha fatto tornare in mente i tempi del liceo e la mia passione per la Filosofia (oltre che per la Scienza). Ricordo che mi avevano affascinato moltissimo i grandi filosofi empiristi come Locke e Hobbes. Ma anche una figura minore, un personaggio un po' bizzarro che sin da subito aveva catturato le mie simpatie: George Berkeley.

Berkeley parte dagli assunti dell'Empirismo, ne estremizza le tesi fondanti e giunge all'elaborazione del concetto di immaterialismo. Il suo pensiero è ben condensato nell'espressione esse est percipi, ovvero esistere è essere percepito. Di fatto significa che esiste solo ciò che i nostri sensi possono percepire.

Un po' come per le nanoparticelle prodotte dagli inceneritori (PM2,5, PM1, PM0,1): non si vedono, la legge non se ne occupa, dunque non esistono.
E noi possiamo stare tutti più tranquili e vivere felici.

Siamo passati da una società in cui i saggi erano filosofi e uomini di scienza a una società in cui i nuovi saggi sono economisti, finanzieri, mercanti e industriali.

È l'investitura imperiale degli scemi del villaggio. In questo caso il villaggio globale. In ognuno dei nostri paesi e città c'è almeno un bonario scemo del villaggio. Li conosciamo dall'infanzia, li incontriamo per strada, li salutiamo; fanno parte del folklore locale, nel loro involontario essere bislacchi ci fanno tenerezza e ci suscitano simpatia, raramente danno fastidio o disturbano; ed è comunuque lungi da noi l'idea di deriderli, denigrarli o peggio ancora discriminarli. Ma allo stesso tempo a nessuno di noi verrebbe mai in mente di eleggerli sindaci alla guida delle nostre comunità.
Però oggi abbiamo degli scemi del villaggio che determinano le sorti e il futuro dell'intero pianeta. Buffo, no?