In Economia c'è una strana legge. Ricorda un po' il principio che tiene in volo gli aeroplani. Un velivolo in aria tende naturalmente a precipitare, tuttavia per il Principio di Archimede e grazie alla particolare forma del profilo delle ali (a goccia), l'aereo riceve contemporaneamente una spinta verso l'alto che lo tiene in volo. In Economia succede una cosa simile: quando si verifica una crisi e si entra in un periodo di recessione, capita che alcuni beni, quelli di lusso, contro ogni logica apparente, mostrano un consumo crescente e limitano in tal modo gli effetti della crisi stessa.
Ma in Economia sembra esserci una legge ancora più strana: le retribuzioni dei manager crescono sempre, indipendentemente dal fatto che le cose vadano bene o male. Sembra una delle famose leggi di Murphy, vero? Ma c'è poco da ridere.
Negli ultimi anni il potere d'acquisto di ognuno di noi ha mostrato un calo costante. Ma in questo Paese anomalo e anormale (oltre che artificiale) gli stipendi dei manager, senza differenze sostanziali tra pubblico e privato, hanno continuato a veleggiare in vergognosa controtendenza. I dati mostrano che nel triennio 2002-2005 gli amministratori delegati delle principali società quotate a Piazza Affari hanno visto crescere le loro buste paga in media dell'80%. Molto di più dell'inflazione (7% circa) e ben più dei loro colleghi americani, fermi a un misero +54%. E stride ancor più con il buon senso il fatto che questa vera e propria escalation raramente è stata proporzionale ai risultati di bilancio e a quelli sul listino. Sono decollati soprattutto i compensi in banca. A questa specie di albero della cuccagna milionaria hanno partecipato in prima fila persino i vertici delle aziende pubbliche. L'AD di Alitalia, Giancarlo Cimoli, ha preso il doppio del numero uno di Lufthansa, poi ci sono le buonuscite d'oro come i 7 milioni girati a Elio Catania per il suo addio alle FS. Il mondo della finanza è l'esempio più eclatante del fenomeno. In Italia quasi tutti gli AD bancari hanno più che raddoppiato la loro busta paga nei tre anni presi in esame. Una bella soddisfazione che per molti si è sommata alle plusvalenze (in qualche caso di decine di milioni) incassate con le stock option. Le cose non sono migliori negli Stati Uniti dove è stato calcolato che per il Natale 2006 le grandi banche d'affari abbiano pagato ai loro top-manager bonus per 36 miliardi, circa il doppio del PIL dell'Islanda. Nello stesso periodo l'oscar della generosità retributiva toccava però allo Stato. Paolo Scaroni è uscito dall'ENEL con una busta paga (comprensiva di bonus e stock option varie) di oltre 10 milioni. Ma anche togliendo le voci straordinarie, in tre anni i suoi compensi sono cresciuti del 50%. Bene (11 milioni) è andata anche a Vittorio Mincato, ex AD dell'ENI mentre Pierfrancesco Guarguaglini (Finmeccanica) ha più che raddoppiato i suoi emolumenti dal 2002. Un record europeo. Il boom degli anni scorsi ha regalato all'Italia anche un ruolo da protagonista nella Champion's League degli stipendi. La performance azionaria non proprio brillantissima di Telecom Italia, ad esempio, non ha impedito a Marco Tronchetti Provera di regalarsi un aumento del 76% dei compensi a quota 5,2 milioni l'anno. Più del numero uno di Vodafone Aurun Sarin e il doppio di Kai Uwe Ricke di Deutsche Telekom. L'AD di Generali Giovanni Perissinotto con un bel colpo di reni retributivo (+138% a 3,22 milioni) ha staccato di quasi un milione Michael Dickmann, suo omologo in Allianz. Un po' di terreno l'ha recuperato anche Piersilvio Berlusconi: tre anni fa guadagnava 350 mila euro l'anno. Poi si è guardato attorno, ha capito l'antifona e si è adeguato: nel 2005 il suo 740 è salito a due milioni di euro. Di questo passo si arriverà ai livelli degli USA dove la busta paga di un amministratore delegato nel 1990 era pari a 107 volte quella dei suoi dipendenti e nel 2005 si è arrivati a un moltiplicatore medio pari a 411.