Cosmic Universal Fashion (2008) di Sammy Hagar è il disco che non ti aspetti. Il che potrebbe significare una bella e inattesa sorpresa, oppure l'esatto opposto, e purtroppo questa volta è la seconda delle due possibilità a prevalere.
Ogni appassionato di rock che si rispetti di Sammy "Il Rosso" conosce quasi tutto: il cantante e chitarrista californiano ha infatti lasciato un segno profondo, prima con i Montrose (siamo all'inizio degli anni '70) e poi, soprattutto, con i Van Halen, nei quali, come è noto, ha sostituito David Lee Roth. Prima e dopo questa esperienza ci sono album solisti (con e senza il suo gruppo The Waboritas), collaborazioni, e progetti vari come il super-gruppo HSAS (fondato con il talentuoso chitarrista Neal Schon, a cui si sono aggiunti Kenny Aaronson e Michael Shrieve) o il meno fortunato Planet Us (in cui sono transitati grandi nomi come il già citato Neal Schon, Joe Satriani, Michael Anthony e Dean Castronovo). Nella storia recente Hagar ha patecipato alla breve riformazione dei Van Halen per poi tornare nuovamente alla carriera solista.
Il nuovo disco contiene certamente anche del buon materiale ma in generale non è minimamente in grado di competere con il valore che è lecito attendersi da un musicista del calibro di Hagar.
Riescono molto bene i pezzi in stile classico (concentrati nella prima metà del CD), ma sono davvero sconcertanti i tentativi di contaminare la materia hard rock con modernismi e generi diversi (come acade nella parte restante del dischetto ottico). Non convince la cover di Fight For Your Right To Party dei Beasty Boys né la versione live di Dreams dei Van Halen.
Un vero peccato. In sintesi, Psycho Vertigo, Peephole e Loud (rispettivamente i brani 2, 3 e 4) sono le uniche cose davvero apprezzabili di questo lavoro, il resto, a mio parere, è da dimenticare.