Nel corso degli ultimi anni ho frequentato una dozzina di corsi aziendali; in metà di questi, compreso quello di ieri, i docenti erano dei Napoletani.
Senza alcuna pretesa di generalizzare credo di aver capito alcune cose.
Cominciamo da quelle negative, due: indipendentemente dalla materia in esame il docente napoletano non può concepire di fare esempi pratici o citazioni che non abbiano a che fare quasi esclusivamente con Napoli: di solito vengono citati Maradona, Totò, Peppino, il Vesuvio, la pizza, l'arte di arrangiarsi, le sceneggiate, il presepe, la Camorra, la monnezza e via di seguito; per noi che apparteniamo a una cultura diversa questi riferimenti appaiono come fuori luogo e molto distanti, di fatto poco funzionali da un punto di vista comunicativo. Il secondo elemento è che un Napoletano ha un modo di condurre un corso assolutamente non lineare, a tratti confuso e tipicamente caotico.
Veniamo ora ai punti positivi, anche in questo caso due: prima di tutto la teatralità, che si manifesta tanto con la voce (per inflessione, cadenza ed espressioni tipiche) quanto soprattutto con la gestualità del corpo; tutto ciò è un grande elemento di forza proprio dal punto di vista della comunicazione, nel senso che con i loro colori queste caratteristiche aiutano a fissare meglio i concetti esposti. Il secondo fattore è la simpatia, che però è tale solo a patto di non passare mai la soglia dell'invadenza; senza dubbio un atteggiamento simpatico, come da etimologia del termine, tende a mettere i partecipanti immediatamente a loro agio creando un buon clima di cordialità.
Presa a piccole dosi la parte sana della napoletanità può dunque essere altamente positiva.
Quello che però non può sfuggire a un qualunque livello di analisi è l'amore che il Napoletano ha per la propria terra, per le proprie origini e cultura. Il Napoletano non si vergogna di quello che è, al limite ricorre ad ampie dosi di ironia; non fa nulla per venire incontro ai diversi tipi di umanità: per il Napoletano, a qualunque latitudine si trovi, Napoli è l'unico centro del mondo immaginabile, e sono gli altri che si devono adattare; un atteggiamento che ricorda un po' quello britannico, ancora molto legato al glorioso passato imperiale di quella nazione.
Cosa fanno invece molti Milanesi, molti Lombardi e Padani in genere? Si vergognano, chiamano dialetti quelle che invece sono lingue; pochi se non rari i riferimenti alle nostre tradizioni; guai a buttar lì qualche vocabolo in Meneghino, e per contro una sfilza di parole in un perfetto e inutile Inglese maccheronico (da far orrore agli abitanti della terra d'Albione). Sempre pronti a venire in contro alle esigenze degli altri fino al punto di snaturare sé stessi. Sempre pronti ad elogiare le bellezze naturalistiche e paesaggistiche degli altri, mai le proprie: incontri un Siciliano e non riesci a trattenerti dal dire quanto è bella la sua isola; vero, ma se proprio si sente il bisogno di parlare ci sono un'infinità di motivi per rimarcare gli splendori della Lombardia. Si ha sempre paura di offendere, di urtare la sensibilità altrui.
Fanculo, così non si va da nessuna parte, così non c'è futuro; se i Napoletani avanzano e noi stiamo per estinguerci è in gran parte colpa nostra, che siamo deboli, paurosi e smidollati, sempre lì a pensare al lavoro e a niente altro.