di Beppe Grillo
(apparso in origine su www.beppegrillo.it il 12/02/2007)
Il tabù della mobilità. Chi non si muove è contro il progresso, un antimodernista. Uno che non ha voglia di lavorare, di divertirsi, di socializzare. Mussolini ha fatto scuola, da "Chi si ferma è perduto" a "Chi non si sposta è un no global". Sempre di fascismo si tratta. Chi ha mai detto che una persona al mattino debba spostarsi di cinquanta chilometri per lavorare? O il fine settimana fuggire dalla sua abitazione cittadina percorrendo centinaia di chilometri? Il tabù non è messo in discussione da nessuno. Non dalla politica. Non dall'economia. Non dalle persone drogate di pubblicità di automobili. Che corrono sempre in spazi liberi, vuoti come deserti, limpidi come un cielo di primavera. Il petrolio è la vela di una barca che si distende, un liquido leggero, verde o azzurro, bello da vedere, buono da respirare. Nelle prime sedici società del mondo ci sono ben cinque società petrolifere: Exxon, Shell, BP, Total e Chevron. Insieme hanno un fatturato annuo di 1.214 miliardi di dollari. Miliardi imbattibili nel creare il tabù della mobilità. Tra le prime dieci società, oltre ai petrolieri, che va ricordato, rivendono un bene naturale guadagnando cifre folli, ci sono quasi solo banche e assicurazioni. Citigroup, Bank of America, America International Group, HSBC, JP Morgan, UBS. Con questo gruppo al comando abbiamo la certezza dell'estinzione del pianeta. Finché decidono loro dovremo spostarci in macchina e non in bici. Usare l'aereo e non il telelavoro. Uscire dalle città invece di viverle. È inutile parlare di riduzione delle emissioni, di macchine meno inquinanti. Il problema si risolve solo eliminando la mobilità ogni volta che non è necessaria. Quindi, quasi sempre. Spostarsi deve essere una scelta. Le organizzazioni devono diventare distribuite, decentrarsi sul territorio. È del tutto idiota portare milioni di persone nelle città quando con la Rete si può lavorare da casa o da un ufficio vicino a casa. Bisogna incominciare a odiare le macchine. Sono un feticcio, un tabù del secolo scorso.