Ieri pomeriggio sono uscito con l'idea di comprare un regalino per la mia fidanzata; non ho trovato nulla di interessante, ma in compenso sono rientrato con un regalo per me: il nuovo libro di Piergiorgio Odifreddi.
"Il Matematico Impenitente" (2008, Longanesi), in qualche modo, è collegato a "Il Matematico Impertinente" del 2005, che invece non ho (ancora) letto.
Ho conosciuto l'autore con "Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)". Non mi ci è voluto molto per capire che Odifreddi parla in modo deliziosamente semplice ma scrive in maniera maledettamente farraginosa, faticosa e pesante: insomma, il contrario di gente come Giorgio Bocca e Massimo Fini.
Del testo in questione, per ora, ho letto la prima sessantina di pagine. A rigor di logica fila tutto liscio, ma, come ho detto, la pesantezza dello stile rende il testo poco fruibile. Avete presente il sapore odioso del vino abbondantemente allungato con l'acqua? Qui siamo all'opposto, sembra di bere un olio iper-denso.
Ho però trovato di grande interesse l'introduzione e ho quindi deciso di riportarne alcuni stralci.
"[...] Il mondo è diviso in due, e ognuno fa la sua scelta di campo. Decidendo, ad esempio, di stare dalla parte dei penitenti a testa bassa: come Galileo Galilei, che accettò di abiurare in ginocchio di fronte al tribunale dell'Inquisizione, o Renato Cartesio, che preferì non pubblicare il suo trattato sul mondo per evitare la stessa fine. Oppure decidendo, al contrario, di stare dalla parte degli impenitenti a testa alta: come Giordano Bruno, al quale fu messo il morso sul rogo per impedirgli di continuare a bestemmiare fino all'ultimo, o Benedetto Spinoza, che fu maledetto e radiato dalla comunità ebraica per aver svelato che la Bibbia era soltanto un libro umano, troppo umano.
Come si vede, non c'è scienza o filosofia che tenga: il confine tra penitenza e impenitenza è orizzontale, non verticale, e divide le famiglie e le scuole. Purtroppo, però, non i partiti: o almeno non quelli della povera Italia contemporanea, tutti proni e supini di fronte al papa e all'imperatore, in quella sua versione moderna che è il presidente degli Stati Uniti [...]. Significa prendere seriamente la scienza e mostrare, per contrapposizione, la futilità di certa letteratura e certa filosofia.
Ora, se avessi voluto dire «di tutta la letteratura e tutta la filosofia», l'avrei detto. Invece, volevo dire ciò che ripeto: la futilità di certa letteratura e certa filosofia. Più precisamente, quelle di evasione dal pensiero e di invasione dei media, che fanno bella mostra di sé nelle pagine culturali di troppi giornali e nei programmi di informazione di troppe televisioni, ma che stanno alle cose serie come i pettegolezzi stanno alla storia e i fotoromanzi al cinema [...].
Sorprendentemente, però, molti considerano persino la divulgazione un peccato da cui redimersi, e il continuare a praticarla un segno di impenitenza! La pensano così, ovviamente, coloro che da sempre temono che la conoscenza in generale, e quella scientifica in particolare, siano pericolose ed eversive: a partire dalla falsa Genesi (quella teologica), che non a caso identifica il Peccato Originale dell'umanità con la trasgressione del comando divino di non gustare i frutti dell'Albero della Conoscenza, appunto.
E la pensano così, altrettanto ovviamente, i padroni dei media e i loro portavoce e interpreti, che vedono nella sostanza e nella profondità tipiche della matematica e della scienza una minaccia letale per l'inconsistenza e la superficialità di quella caricatura di umanesimo da loro propugnata. Essi temono che a qualunque azione di acculturamento razionalista e scientifico possa corrispondere una reazione di rigetto verso l'incultura irrazionale e antiscientifica: e fanno bene, perché le gocce della divulgazione scavano le pietre dell'ignoranza, e finiscono col minarne le fondamenta e minacciarne la stabilità.
Forse meno ovviamente, però, sono spesso schierati contro la divulgazione anche i professori bacchettoni e i ricercatori spocchiosi che considerano la scienza un castello d'avorio chiuso alle visite turistiche, o un club esclusivo nel quale si può entrare solo per censo intellettuale [...]".